Impressioni sotto il cielo di Berlino

 

Dicono che la mia sia la generazione della grande diaspora. Non si fa che parlare della famosa “fuga di cervelli” e tutti hanno chiaro quali siano i motivi che spingono i gggiovani a lasciare l’Italia per cercare fortuna all’estero. Io non sono un grande viaggiatore, vuoi per indole, vuoi per scelta, ancora il mio cervello non ha mai fatto grosse scappatelle. La cosa che ho notato però, è che i cervelli dei miei amici lontani si sono condensati tutti in un punto: Berlino.
Una sorta di diaspora rovesciata, in cui le persone, invece di disperdersi partendo dal medesimo posto, tracciano traiettorie eterogenee per ricondensarsi compatte, in una sola città. Essendo io uno dei pochi esseri umani che ancora non ci era andato, mi ero costruito una sua immagine artificiale fatta dai racconti e dalle visioni di persone che ci vivono o ci hanno vissuto. Il risultato era una sorta di Atlantide, in cui l’amore cadeva dal cielo in grappoli voluttuosi, sorretta dalla mano benevola del welfare tedesco. Dato che la suddetta immagine mi suonava un po’ posticcia, ho trovato il modo di farci un giretto, insieme a mio fratello, approfittando vergognosamente delle risorse dei miei amici berlinizzati. Quello che segue non vuole essere un report dettagliato della mia ricognizione, del tipo “questo sono io che bevo la birra sotto il palazzo della Sony”, ma un insieme di spunti di riflessione, o di tracce che mi hanno colpito e fatto pensare.

Le case e i wagenplatz

Due dei miei più cari amici, da anni trasferiti a Berlino, ci hanno lasciato una splendida casa in mezzo a Friedrichshain, nella zona est della città, che poi si è rivelata una delle zone più interessanti che ho scandagliato. Eravamo a due passi dalla stazione di Ostkreuz, uno svincolo importante della rete trasporti Berlinesi, che stanno ampliando ad un ritmo forsennato, la qual cosa ci ha aiutato non poco nella logistica e negli spostamenti.
Durante la settimana sono stato in diverse case di amici, disseminate tra kreuzberg, Neukölln e Friedrichshain e nonostante le differenze di quartiere, dimensione e inquilino, presentano tutte delle caratteristiche comuni, spesso utili ad alzare la qualità della vita. La prima cosa il caldo. Ogni spazio chiuso ha un microclima interno di tipo tropicale e la cosa fa anche piacere vista la temperatura esterna molto rigida. L’unico inconveniente è il passaggio tra i due mondi: l’escursione termica vi potrebbe fare esplodere come una nana bianca, quindi la gente appena entra si mette in tanga, generando delle immancabili montagne di giubbotti e indumenti vari, spesso utilizzati come poltrona o divano, a seconda delle dimensioni. Non pensate però che usino il riscaldamento come noi usiamo i condizionatori d’estate; semplicemente le case, anche le più vecchie e cadenti, sono ben coibentate e fanno un abbondante uso del legno. Tutti i pavimenti che ho visto erano in legno, dal parquet strafigo alle vecchie assi postcoloniali dimentiche del concetto di cera. Spesso poi si usa far passare il riscaldamento sotto il pavimento, aumentando la superficie di irraggiamento del calore con un minore spreco. Siccome poi con tutta st’intelligenza applicata, vien voglia di godersela, in tutte le case ci si toglie le scarpe prima di entrare, scorrazzando coi calzini liberi come fringuelli. Mentre ero li a chiacchiere appollaiato sul letto con le gambe incrociate, a vedere quel profluvio di calzini colorare i piedi degli astanti, mi è rivenuto in mente dei pomeriggi di secoli fa, quando, piccoli tredicenni coi baffi, ci si radunava a casa degli amici, tutti rigorosamente senza scarpe. La mamma di uno di ‘sti mocciosi prepuberali, sosteneva che facesse meno danno un gatto idrofobo ricoperto di pece, che quattro marmocchi chiusi in una stanza con le scarpe ai piedi. Effettivamente la casa si sporca meno e crea un clima più informale e caldo, necessario per creare un contrasto con la spigolosità del freddo esterno.
Un’altro oggetto onnipresente è “Il Bollitore”. In tutte le case in cui sono entrato troneggiava indiscusso sul tavolo della cucina, a ricordarti che tu nel 2012 ancora non l’avevi. Mi sono fatto una quantità enorme di tisanine e teini ricostituenti nelle pause fra un escursione e l’altra e ho apprezzato enormemente la sua stupida intelligenza. Per farvi capire come lo amavo, l’ultima notte mi è apparso in sogno. Me lo faccio regalare dalla mamma a natale.
Sono stato ospite anche in una piccola roulotte dove vive una fanciulla molto simpatica che ci ha dotato di caffè e un biscottino all’erbagatta, che mi ha reso felicemente ebete per tutto il pomeriggio. I wagenplatz sono una realtà molto radicata a Berlino, specialmente nella parte est della città. Si tratta di spazi aperti, solitamente lasciati in stato di abbandono dove si insediano comunità di persone che vivono sui loro mezzi di trasporto, trasformati in comode unità abitative. Nel tempo, molte di queste esperienze si sono insediate in pianta stabile, creando dei processi collettivi di utilizzo dello spazio comune e trasformandolo radicalmente. Negli ultimi anni la musica sta cambiando; essendo una zona fortemente interessata dai processi di gentrificazione, il comune cerca di regolamentare o espellere queste esperienze che si stanno riducendo significativamente. Quelle rimaste sono situazioni abbastanza stabili dove viene corrisposto un affitto mensile, socializzando le infrastrutture e la loro manutenzione, come bagni, cucina, lavanderia e quant’altro serva a soddisfare i bisogni della comunità. Essendo una fauna culturalmente molto ricca ed eterogenea è facile rimanerne affascinati, quantomeno sulle potenzialità creative della pratica del “do it yourself”. Un ultima cosa che mi ha colpito, è l’arredamento. Nelle strade di Berlino si trova di tutto e quello che non trovi a giro lo trovi nei mercatini dell’usato, che vendono qualsiasi cosa vi venga in mente, anche cose che non esistono ancora. Molti, per non dire quasi tutti, sono presi nella nobile arte del riciclo e del riutilizzo, e questo rende gli oggetti che compongono una casa più saturi di storie, più vivi nel loro essere dei semplici oggetti comuni. Questa sensazione produce ulteriore calore che ti fa sentire più vero lo spazio che abiti.

La città

Una settimana è ben poca cosa per comprendere una città, ma sufficiente per costruirsi una visione approssimativa del suo essere e del suo divenire. La Berlino che ho visto io è discontinua e inaspettata, dinamica e rispettosa, efficiente e creativa. Tutte le mattine partivamo con le nostre macchine fotografiche seguendo il consiglio di @jopixel e di altri esuli incontrati in loco: girare a caso. Le nostre peregrinazioni ci hanno portato in posti molto diversi fra loro, quasi fossero diverse città, accatastate a casaccio senza nessuna remora. Questa discontinuità la percepisci anche all’interno degli stessi quartieri, dove si affiancano architetture nuove in vetro e metallo a quelle vecchie, fatte di mattoni rossi o con un piglio stile realismo sovietico; lo vedi nell’alternarsi di vetrine chic a fruttivendoli e micromarket, la incontri anche fra le persone che quelle strade le abitano, dove l’uomo d’affari con 24h a seguito, convive con il punk o la famiglia turca con quella scandinava.
La cosa che emerge è che questa discontinuità non si tollera, ma coesiste, generando delle costanti sorprese, proponendo accostamenti arditi e inaspettati. Le nostre escursioni si sono concentrate in tre quartieri: il Mitte che dovrebbe identificare il centro della città, poi kreuzberg e Friedrichshain. Per quanto sono solo una parte della sconfinata estensione urbana, rappresentano tre mondi in continuità fra loro e danno un idea dello sviluppo urbano di Berlino nei prossimi anni.

Il Mitte si estende da Alexanderplatz con la sua gigantesca torre della televisione, fino ad un significativo pezzo del distretto di Charlottenburg subito sotto il parco del famoso zoo. Nel centro esatto c’è il parco di Tiergarten dove si trova la Porta di Brandeburgo, l’Angioletto e Postdammerplatz. Questo è il cuore finanziario della città, dove alberga l’anima della Berlino capitale europea. Vialoni giganteschi, architetture metalliche e acuminate che si innalzano vertiginosamente, immensi marciapiedi, caffè e negozi di lusso, giganteschi centri commerciali e un impeccabile geometria urbana, un entità grigio-verde asettica e inattaccabile, potentemente illuminata, radiografabile grazie al grande utilizzo di vetro. Gli uffici, ordinati in caselle, visti dal basso si rivelano in tutta la loro semplicità funzionale, impudica nella sua neutralità. La sensazione a camminarci sotto e di rimanere schiacciati, soffocati dall’estendersi di materiali senza soluzione di continuità. Tutto qui acquista questo impeto modernista, anche le stazioni della metropolitana diventano gigantesche e dedaliche, trivellate senza riguardo da un fascio immane di binari in fuga, creando larghi solchi di terra battuta-legno e metallo che affettano e dividono. Il fiume sprea, che attraversa tutta la città con una certa grazia, in questo tratto e fasciato da mille ponti e cavalcavia, come se la città cercasse di tenersi insieme forzosamente, costruendo legami anche dove non ce n’è bisogno. Mentre girovagavamo cercando di evitare i mercatini di natale, siamo arrivati a piedi ad Alexanderplatz avendo come nostro unico punto di riferimento la torre della televisione, che vedi praticamente da ogni parte della città. É talmente alta che falsa le distanze e da ogni parte ti sembra di essere a 200mt dalla quella piazza, un po’ come quando valuti la distanza di una barca appoggiata sul mare. La realtà è sempre diversa dalla sua illusione.
Ai piedi della torre, incastrato tra un lunapark e un grappolo di grattaceli, c’è un piccolo parco poco illuminato. Li dentro abbiamo trovato una statua che commemorava Marx ed Enghels. Ora dico, con tutti i posti dove potevate mettere ‘sti due poveri cristi, proprio nel mezzo di quel delirio capitalistico? Se li guardate bene, Marx è decisamente inviperito e seduto in quel modo pare un anziano sulla panchina di una casa di cura, intento a rimirare il tempio della propria sconfitta (temporanea), mentre ad Enghels gli girano di brutto e sembra sul punto di mettere le mani addosso a qualcuno. Non so come spiegarvi ma dava l’idea di un immane beffa storica. Per completare il quadro avrei appoggiato la mano si Enghels sulla spalla di Marx, come a confortarlo, mentre piano gli sussura: “lascia stare vecchio… non sanno quello che fanno”.
Vicino alla Porta di Brandeburgo, siamo stati a vedere il memoriale dell’olocausto, che devo dire ho valutato positivamente. Nel senso che riesce a comunicare, girandoci dentro, un senso di oppressione e mancanza di ossigeno, utili a ricordare quanto può essere stronzo un uomo se ci si mette.

Kreuzberg ha una storia molto particolare, in quanto rimasto dalla parte occidentale del muro, divenne una specie di quartiere di frontiera, molto degradato e abbandonato a se stesso, divenendo così territorio fertile per le comunità immigrate e per la controcultura popolare. Dopo anni dal crollo del muro, questo quartiere mantiene intatto il fascino della sua sua storia, nonostante negli anni passati sia stato abbondantemente “recuperato”, passando attraverso il ciclone della gentrificazione urbana, fenomeno ormai comune a tutte le grandi città europee. Adesso è uno dei quartieri più vivibili di Berlino, con un’architettura varia e colorata, pieno di spazi pubblici, locali, negozietti e mercati. Ci vive una buona fetta di professionisti, che apprezzano il clima democratico e la sua vivibilità. Camminandoci dentro ti sembra di attraversare uno spazio felice, i muri sono pieni di disegni e ogni cosa o struttura non riesce a rimanere immune dal richiamo del colore. Questi accostamenti cromatici forti ridanno vitalità al paesaggio urbano, amalgamandosi ai fulard che coprono le teste delle donne turche e al brulicare di persone che affollano strade e marciapiedi.

Friedrichshain, dove si trova la casa dei miei amici è tutta un altra storia. Questo quartiere sta subendo adesso quello che ha subito Kreuzberg negli ultimi anni. Terreno di conquista, prima per le comunità underground, poi per il capitale finanziario, questa fetta di città muta ad una velocità vertiginosa. Lo percepisci dagli innumerevoli cantieri sparsi ovunque, dallo stupore di chi dopo pochi mesi ritorna e trova tutto cambiato. Gli spazi vuoti si vanno riempiendo di strutture commerciali o di servizi, le case vengono abbattute e ricostruite, oppure restaurate, la stazione della metro sembra un organismo vivente, dal brulicare di macchine da lavoro e operai che la fanno crescere di giorno in giorno. Tutta la zona diventa appetibile per la fascia medio ricca della città che ci si trasferisce facendo alzare i prezzi delle case e dei servizi, pronti ad adeguarsi alle nuove richieste del mercato. In mezzo a tutto questo, tutta la comunità underground che qui aveva prosperato, godendosi la possibilità di autogestire la propria esistenza, sta subendo una lenta ma inevitabile erosione. Nonostante questo Friedrichshain è un quartiere vivo, pieno di opportunità e di energie positive. Chiunque abbia un talento, ha lo spazio di manovra sufficiente per farlo crescere, una rete di contatti stimolante e produttiva e un potente appoggio del welfare tedesco, che non regala niente ma ti aiuta a vivere come desideri, senza farti strozzare da una banca. Non saprei come esprimerlo, però forse la sensazione di entusiamo che genera questo posto deriva proprio da questo; è la sensazione, al popolo italico ormai sconosciuta, di avere una prospettiva.
Questo quartiere va veramente visto girando a caso. Non ci sono particolari attrazioni perché molto è di per se un’attrazione. Sono andato a vedere un pezzetto dell’antico muro ma in mezzo a quel gigantismo costruttivo scompariva senza lasciare traccia.
Sotto consiglio dell’ottimo @El_Pinta, sono andato anche a TreptowerPark, subito dietro casa mia a vedere il colossale monumento ai caduti russi della seconda guerra mondiale. Due enormi porte monumentali, segnano l’accesso al mausoleo, incorniciando al centro delle loro traiettorie una statua che potrebbe rappresentare la madre russia che piange i caduti. Il di lei sguardo si congiunge idealmente a quello del condottiero dalla parte opposta del mausoleo, che con uno spadone da berserk schiaccia il simbolo nazista, mentre porta in salvo i figli della patria. Anche se suona un tantinello retorico, è visivamente molto interessante, perchè comunica un senso di importanza e di rispetto, addormentato come è nel cuore di un parco silenzioso. Belli anche i bassorilievi che circondano il campo dei caduti e i mosaici della cappella che non sono pienamente accessibili. Quasi tutte le rappresentazioni sono corali e per mantenere questa coralità si ricorre spesso all’inserimento di personaggi puramente simbolici nella scena, che rappresentano che so i lavoratori, le donne del popolo, ecc.ecc.

Vita notturna

Non ho fatto molta vita notturna perché non ho più il fisico per sostenerla, comunque un paio di serate nel corso dei weekend me le sono fatte. Sono andato al traino dei miei amici, quindi ho frequentato molto la comunità italiana di Friedrichshain, che per quanto risulti abbastanza compatta, non disdegna piacevoli infiltrazioni di personaggi dell’underground berlinese, apolide e libertaria. Il giorno in cui siamo arrivati, ci hanno portati in una project-house che si chiama Sharny (credo), dove c’era una serata tekno anni ’90; abbiamo conosciuto un po’ di gente e ci siamo scolati ettolitri di birra e intrugli vari, per poi andarcene felici e ubriachi con la metro. Lo spazio era piccolo e accogliente, con l’estetica della casa occupata o di un centro sociale.
Ci sono tantissime house-projekt, club, bar e birrerie che offrono una programmazione eterogenea su target diversi. Per strada trovi gente che si sposta fino a tarda notte, in una specie di staffetta tra i vari party e after-party. Per farvi capire, quando alle 5 siamo tornati a casa, era in corso una festa nel palazzo di fronte, che ha allietato i nostri timpani fino a mattina inoltrata. Un altro posto carino dove sono stato si chiama “Cagliostro”; è un bar gestito da un italiano da vent’anni residente a Berlino, che è diventato un punto di ritrovo della comunità. Lo spazio è piccolo, caldo e accogliente, ci puoi comprare anche dei dischi dentro e ti mette a disposizione anche una console per ascoltarli prima dell’acquisto. Questi spazi sono importanti luoghi di interconnessione fra ambiti e comunità diverse; la sera in cui sono andato ad esempio, sono rimasto stupito da un’insolita divisione fra maschi e femmine, scoprendo poi che era in corso una riunione per l’organizzazione della lady-fest, una serata anti-sessista con contenuti di genere, in programma per il prossimo marzo. C’è una grande attenzione intorno a tematiche simili e sono valori condivisi nelle diverse comunità. La comunità gay ad esempio, che è una realtà molto radicata e potente, rappresenta uno dei motori più importanti della programmazione culturale della città.

I musei

Visto che faceva buio presto, abbiamo dedicato diversi pomeriggi alla visita di alcuni musei. In generale ampiamente foraggiati, le strutture che li ospitano sono molto belle e ben allestite, non lucrano sul guardaroba e hanno in genere un costo contenuto.

Il Museo della Tecnica, è molto particolare e interessante. Dentro una struttura enorme, si tenta di ripercorrere le tappe della tecnica e della tecnologia negli ambiti più svariati, dai computer agli aerei, dai treni alle macchine da cucire. Ogni didascalia è in due lingue, cosa apprezzabile perché non sempre ho avuto questa fortuna. Siamo stati due ore come dei bambini dell’asilo a pigiare ogni bottone disponibile, cimentandosi dalla teoria del galleggiamento ai simulatori di volo. Anche se la visita richiede molto tempo, alla fine non risulta pesante e il tono della mostra non accende la retorica del progresso, rischio evidente di un esposizione simile.

Il C/O Berlin, è un museo indipendente di fotografia. Per pura fortuna abbiamo beccato il giorno dell’inaugurazione delle due nuove mostre esposte. Fuori ad aspettare l’apertura più di 200 persone. La cosa figa è che non abbiamo pagato (in famiglia tutti bracci corti) e che le due mostre erano interessanti. Un po’ la grande massa di gente a guardare le foto dava fastidio, ma in generale un’esperienza piacevole. Al piano di sotto c’erano le foto di Ron Galella, paparazzo storico, che riproponeva scatti di personaggi dei più svariati ambiti in contesti particolari. Molto bella. Al piano di sopra tre serie di lavori di una fotografa Gundula Schulze Eldowy, alcuni potenti, alcuni inquietanti o violenti.

L’Hamburgher Banhof si è rivelato una sola colossale. Il costo del biglietto era di 12 euro, che non sono pochi, ed offriva un istallazione dal nome cloud-city, bella ma che finiva dove cominciava, una mostra di architettura decisamente oscena e un po’ di lavori apprezzabili della pop-art, fra tutti il ritratto di mao di Andy Warhol. Unica perla degna di nota, un documentario di 90′ di Theo Solnik che si intitola “Deutcschland”. Una pellicola in un bel bianco e nero, basata sulle riprese continuative in un arco di tre mesi di una ragazza di origini russe a Berlino. La ragazza in questione è un soggetto potentissimo e tramite la sua immagine si costruisce sullo sfondo un’immagine di Berlino molto poetica ed ironica. Se qualcuno lo trova, lo voglio.

In ambito un po’ più underground segnalo due posti interessanti. Il primo è uno spazio molto vicino al C/O che si chiama Kunsthaus Tacheles. È uno spazio assurdo e visivamente potentissimo, ci sono dei graffiti molto belli e dietro c’è una specie di mercato d’arte in cui si vendono pezzi unici, quasi tutti in ferro o in legno, saldati sapientemente.
L’altro posto è una piccola galleria a kreuzberg che si chiama X-lab corrosive factory: è di due ragazzi italiani che da due anni e mezzo lavorano per farlo diventare un punto di riferimento della street-art e di tutto il sottobosco culturale che si muove intorno a quel mondo.

Il cibo

Essendo un crogiolo di culture, a Berlino si può trovare di tutto. Ho perso il conto delle migliaia di chioschi, ristoranti, taverne e take-away che ho incontrato per la strada e delle mille cucine che vi si praticano all’interno. Dalla cucina vegana al cibo spazzatura, dal tailandese al messicano, la città coccola gastronomicamente i suoi abitanti offrendo un infinità di possibilità diverse. La cosa importante è sapere scegliere e orientarsi. Per fortuna i miei amici indigenizzati mi hanno guidato all’interno di questa odissea, facendomi mangiare cose molto buone e mettendo a repentaglio la salute del mio povero fegato. La cosa che si nota molto è che i Berlinesi mangiano spesso fuori, o per strada, perché i pasti costano molto poco (con 5 euro mangi abbondantemente) e non sono dei grandi amanti dei fornelli. Kebab e falafel fanno le buche in terra e non hanno niente a che vedere con quelli che si mangia qui, anche perché spesso sono loro stessi a preparare il rotolo di ciccia che ha un sapore e un aspetto delizioso. Il cibo è spesso accompagnato da tè caldo alla turca, insieme ad una sconfinata quantità di salse e verdurine. Altro elemento dominante del paesaggio gastronomico urbano sono i chioschi del curry-wurst. Con mio fratello siamo andati in cerca del migliore dei wurst, con il risultato di aver fagocitato tonnellate di ketchup e maionese e una dozzina di wrustel fritti nell’olio nero. Per fortuna che a casa avevamo la cucina, che ci ha permesso, almeno a cena, di prepararci dei pasti depurativi salvavita. É impressionante quanta gente si nutra presso questi chioschetti a qualsiasi ora del giorno e della notte e non mi capacito di come facciano ad essere ancora tutti vivi. Siamo andati a provare anche un ristorante indiano e uno crucco, dove abbiamo provato a mangiare la Schnitzel, ma si è rivelata una sola colossale che mi è rimasta sullo stomaco per circa tre giorni.
I supermercati lasciano molto a desiderare, ma esistono una miriade di mercati che vendono frutta e verdura fresca e un infinità di prodotti caseari buonissimi. Esistono anche mercati interamente biologici, che, sebbene un po’cari, foraggiano una buona fetta della popolazione più benestante e attenta della città. Unica cosa assurda è il costo dell’acqua in bottiglia. Praticamente venduta a peso d’oro non la beve nessuno in giro, orientandosi o su bevande analcoliche assurde, come il mate gassato o mistoni stile iberico di coka e aranciata, oppure sulla birra in bottiglia. E tipico infatti vedere per strada persone con la bottiglia di birra in mano, o nella tasca del giacchetto mentre aspettano la metropolitana o si recano a lavoro. La “birra da passeggio” costa poco, la trovi ovunque in mille qualità e fogge differenti. Ogni bottiglia ha una tassa di reso del vuoto di 9 cent, quindi nessuno le butta nel cestino ma se le porta dietro o le lascia in bella vista, in attesa che qualcuno la raccolga per alzarci due soldini; questo aiuta a non trovare miliardi di bottiglie in giro e fa di Berlino una delle città con una percentuale di riciclo del vetro più alte d’Europa.

I trasporti

Muoversi a Berlino è un piacere. Abituato all’immobilità fiorentina sono rimasto allibito dalla facilità e la serenità degli spostamenti. Dotata di una metropolitana underground e di superficie praticamente immensa e dedalica, arrivi ovunque in pochissimo tempo. Ci siamo fatti un abbonamento settimanale con circa 20 euro con il quale potevamo usare in libertà tutti i servizi di mobilità offerti, dalla metro (che già da sola basta e avanza) ai bus e ai tram, che coprono quelle poche fette cittadine rimaste scoperte dalla metro. Tantissime persone si muovono in bicicletta e le poche macchine non sembrano soffrire del problema dei parcheggi. Andando a caso, ogni 200mt trovi la stazione di una metro, che essa sia sopraelevata o sotterranea, poco importa. Le indicazioni non sono chiarissime, ma fare un infografica efficiente non è compito facile, considerando che la rete è in continua espansione e spesso ogni stazione si gestisce tre o quattro flussi di mezzi differenti, compresi i treni diretti fuori città. Spesso ho girato come un ebete dentro queste stazioni immense cercando di capire di che morte morire, incapace di memorizzare la toponomastica cittadina, piena di posti impronunciabili. Alla fine però non ho mai sbagliato, o quasi, e se ce l’ho fatta io, sono sicuro che ce la può fare chiunque.
La metro è sempre aperta fino a tardi, durante il fine settimana anche la notte e praticamente è gratis perché non ci sono controlli. I mezzi di superficie vanno ovunque e questo stimola a lasciare la macchina a casa o ancora meglio a non averla. Il governo italiano non ha capito che per fare diminuire gli incidenti e l’uso di alcolici, bisogna dare alla gente un’alternativa e non una repressione sistematica.

se dopo tutto sto pippone non vi fosse bastato, qui trovate altre foto della gita berlinese. Mi scuso anticipatamente se ci sono imprecisioni o superficialità diffuse, consapevole che questa è solo una visione parziale e personale della città che ho visto.

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2 risposte a Impressioni sotto il cielo di Berlino

  1. Alessandro Ercolni scrive:

    Per osmosi, oggi mi sono fatto un bel viaggio a Berlino, già mi mancano gli odori e i colori del suo meltin pot….
    i 10 minuti meglio spesi della giornata…o la settimana più intensa degli ultimi 10 minuti…chissà.
    Danke Gire.

  2. El_Pinta scrive:

    Il Mate gassato ha grandissimo cuore! Bel resoconto, mi ha messo un po’ di nostalgia addosso…

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