Ferie d’agosto

Vi faccio un breve resoconto per immagini ed episodi del viaggio agostano in Grecia.

Il traghetto
Come fai a chiamare un oggetto “superfast” se per fare 700km ci mette 21 ore? Per sopravvivere ad una tale traversata è necessario essere ben organizzati. Io mi sono portato un libro di Amanniti – “Fango”, materassini auto-gonfianti e occhiali da sole. Quindi peggio di un barbone senza via di scampo. Nel giro di poche ore ho letto il libro, facendomi anche diverse risate; spesso pulp, ma a volte squisitamente grottesco e ironico, mi ha messo bene la prima parte del viaggio. Purtroppo è finito presto. Non sono potuto scendere alla macchina per prenderne un altro e da li a poche ore avevo le allucinazioni. Ho passato le restanti ore di veglia a leggere le istruzioni di salvataggio della scialuppe di emergenza e a scandagliare i passanti, in cerca di stimoli che mi facessero uscire dal coma.

Il 97% dei vacanzieri con un libro leggevano Faletti. Gli altri passatempi preferiti erano le ps2, le macchinette del poker (assaltate 24 su 24 da orde di padri di famiglia), brisca e tressette e il cibo, protagonista indiscusso delle strategie per sopravvivere alla noia. Ho visto gente ingurgitare di tutto a qualsiasi ora, sborsando delle cifre mostruose pur di avere qualcosa da fare. Ho passato del tempo anche davanti allo shop della nave, per vedere cosa comprava la gente. Soprattutto Faletti, cappellini orribili e altri oggetti di nessuna utilità. Questi ultimi, scelti non dall’arbitrio degli acquirenti, ma dagli impulsi di disperazione che il loro cervello emetteva per modificare il proprio scenario mentale. Ricordo di aver provato un senso di pietà per tutti noi e per il nostro destino. La notte l’abbiamo passata sul ponte con i nostri supertecnici materassini auto-gonfianti. Non ho chiuso occhio. Praticamente come dormire per terra. Larghi 50 cm, ci stai sdraiato solo se incroci le braccia sul petto come i morti. Praticamente preclusa ogni possibilità di rotazione, largamente sconsigliata la posizione supina per immediata occlusione delle vie respiratorie. Nel dormiveglia bestemmiavo in silenzio per non disturbare Margherita, anche lei con le sue difficoltà. Una signora turca con la testa velata dormiva davanti a me, ingobbita su una sedia di plastica, appoggiando la testa su un corrimano. La scena ha amplificato la nostra agonia.

Altro elemento interessante dell’universo traghetto sono i parcheggiatori della stiva; nel loro comunicare berciato, a gesti potenti e eccessivamente sottolineati, mentre ti guidano nell’antro ti guardano come un pastore guarda una mucca; innalzati dalla consapevolezza dello spazio, dalla suprema arte del tetris dinamico, tu ai loro occhi sei un essere ignorante e privo di autonomia, e questo lo capisci subito, lasciandoti trattare come una merda. Grato di riconoscerti come tale.

Isole Ionie (Lefkada e Cefalonia)
Ce le siamo girate per i primi 10 giorni di viaggio. Mare meraviglioso, di una azzurro incredibile, il cielo sereno, al confronto pareva grigio scuro. Nonostante la calca agostana abbiamo quasi sempre trovato spiagge poco frequentate e nella maggior parte dei casi, molto tranquille. Stipato sotto l’ombrellone, mi sono letto “L’Ottava Vibrazione” di Lucarelli: libro che mi è piaciuto molto; ambientato in abissinia durante l’infelice esperienza coloniale italiana, l’autore intreccia sapientemente le vite di personaggi molto potenti e profondi, con quel pizzico di giallo.
Tornando alle amene isole, abbiamo riscontrato anche qualche problemino. Purtroppo dopo il terremoto degli anni 50, tutto il patrimonio storico e architettonico presente sulle isole è andato distrutto. Al suo posto hanno costruito solo tabernas, negozi, mini-market e strutture di ricezione turistica: ghermiti dagli osti alla caccia di polli italiani da spennare, assediati dallo shopping compulsivo, abbiamo deciso di virare nel peloponneso, nella speranza di incontrare meno italiani possibili e un po’ più di cultura.

Gli italiani in vacanza
Vi racconto tre vicende inquietanti per farvi capire il livello medio dei miei connazionali all’estero, consapevole del fatto che ogni tanto un italiano decente lo trovi. Questi sono solo esempi delle innumerevoli volte che avrei preferito essere uzbeco piuttosto che essere associato a loro.

Il Water e la turca. Civiltà a confronto.
A parte qualche notte accampati in posti improbabili, abbiamo dormito quasi sempre nei camping. Ne abbiamo cambiati tanti, almeno una decina sparpagliati fra le isole e le coste del Peloponneso. Sono semplici, senza animatori imbecilli che ti chiamano a fare acquagim alle 7 di mattina, ma ricchi di strumenti collettivi. In ogni camping c’è il frigo, il congelatore e la cucina. A volte ci hanno dato l’elettricità e sono quasi tutti cablati wirless; tutto compreso nel prezzo di pernottamento che si aggira intorno ai venti euro.In uno di questi camping, avevamo montato la tenda vicino ai bagni. La sera ero fuori a leggere e mi giunge all’orecchio una conversazione fra moglie e marito, intenti ad ispezionare i cessi. La discusione verteva sull’inciviltà dei greci che hanno bagni in comune e, come se non bastasse, in 5 cabine su 6 avevano istallato bagni turchi e solo in uno, un water. Lei, bionda, tostata come un tizzone, milanese dentro, arringava una filippica inquietante cercando di convincere il marito che quello era un fatto gravissimo. Lui, molto più anziano, capello brizzolato, tagliava corto dicendo alla moglie di andare nel bagno con il water (che era libero) e non rompere il cazzo. Alla fine essa demorde e va a cagare (in tutti i sensi). 15 minuti dopo esce trafelata dal cesso come se avesse fatto la guerra con un orso dentro una sauna.
Pochi minuti dopo vado a pisciare e vedo cosa ha prodotto: vedo sulla tavoletta abbassata, le orme delle scarpe, e spalmata sulla tazza una quantità indicibile di merda. La Maledetta aveva cagato a cavalcioni sulla tazza perchè gli faceva schifo! E aveva smerdato tutto. Non aveva neanche provato a grattarla con lo scatizzolamerda perchè si schifava a toccare lo scopettino (chissà quante mani lo hanno toccato!). Mentre la mia mente ricostruiva la scena dagli indirizzi sul luogo del delitto, l’ho odiata profondamente. Le turche, sono dei paradigmi di logicità e design; sono molto igenici perché non tocchi fisicamente niente con il corpo e sono facili da pulire e manutenere. In più caghi in maniera naturale, come fanno le bestie, ovvero nel modo più logico. Il water è l’infelice incarnazione dell’ideologia piccolo borghese; pensare quella tipa a strenfiare su un water contratta in una posa impossibile, facendo una fatica bestia e ottenendo un risultato aberrante pur di non contravvenire al suo concetto di igiene e benessere, mi ha riempito di gioia. auto-punirsi per la propria idiozia è utile ed economico.

La motosega e la parabola.
Una sera abbiamo comprato dei pesci per farli alla brace in campeggio. Arrivati al barbecue abbiamo trovato due camperisti bergamaschi che preparavano la legna. Gli ho chiesto se potevano lasciare la brace accesa quando avevano finito e poi siamo andati a fare i cazzi nostri. I due tizzi in questione, erano intenti a cercare piccoli rametti per accendere il barbecue, chiacchierando di Rossi e dei camper, mentre le mogli preparavano i prodotti da cuocere, (rinnovando l’antica tradizione che vuole il maschio a domare le fiamme e le femmine a fare la staffetta con le pietanze arrostite.) Pochi minuti dopo, vedo il bergamasco sul tetto del suo camper intento a segare un ramo abbastanza grosso. Mi chiedevo quale fosse il suo piano, considerando che gli alberi erano pochi e un po’ d’ombra in più poteva far comodo, almeno a coloro che dopo di lui, si accamperanno li sotto. Inizialmente ho pensato che la volesse bruciare: cosa idiota, perchè un pino verde non brucia nemmeno se lo butti nel sole, ma comunque plausibile viste le circostanze e il soggetto in questione; oppure semplicemente gli drusciava sul tetto del camper.
Dopo dieci minuti l’orrenda verità si palesa con una frase lanciata dal barbeque da parte dell’amico. Sento una roba tipo: <>. Mi alzo e vedo la parabola sul camper alla ricerca di un satellite. Il maledetto non riusciva a vedere SKY! Mentre progettavo assalti incendiari sull’infedele, esso pontifica con soddisfazione:<>. A quel punto la mia mente vagava in un lago d’odio e già immaginavo i denti della sua motosega sulle sue peccaminose carni.

Venite! Qui c’è posto!
Un giorno siamo andati al mare in una spiaggia molto bella (non ricordo precisamente quale perchè ne abbiamo viste tante). Essendo la location da panico, c’era diversa gente già dalla mattina, ma niente di eccezionale. ci mettiamo pochi metri dal mare e facciamo amenamente i cazzi nostri, nel più totale relax. Lentamente la spiaggia aveva cominciato a riempirsi e la cosa stava diventando preoccupante. Abbiamo deciso di rimanere li perchè ci faceva fatica s
postarsi. Il panico è scoppiato con l’arrivo della famiglia partenopea & friends & sons. Eerano tipo 10 persone; la maggior parte in fondo alla spiaggia, di vedetta, mentre due delle madri, si erano sguinsagliate alla ricerca dello spazio a loro necessario. Una di esse si è avvicinata alla nostra zona, guardandosi intorno e valutando lo spazio disponibile fra noi e l’altro ombrellone (4m). alla fine guarda il mare, fa un sospiro e lascia cadere la borsa sulla sabbia: quello era il segnale. Il marito parte spavaldo con l’ombrellone in mano e si avvicina minaccioso. Margherita, che non ama la prossimità agli alieni, ha cominciato a fiutare il pericolo, cominciando a schiumare dalla bocca. Occhiali da sole, abbronzato sulla sessantina, mentre valuta l’incidenza del sole per valutare dove posizionare l’ombrellone, comincia a berciare <>. Finisce di rimirare lo spazio poi, deciso, pianta l’ombrellone a 30 cm dal mio piede. Il rumore della sabbia infilzata fa scattare l’orda di esseri sovrappeso che aspettavano nell’ombra. in brevi attimi siamo circondati e si accingono a piantare altri tre ombrelloni. Marghe, con lo sguardo iniettato di sangue gli dice qualcosa per fargli rivalutare i loro calcoli. Una delle donne pare colpita dalla richiesta, ma il marito le fa notare che <>. dopodiche ci ignorano bellamente e cominciano a rovesciare canotti, giocattoli, sedie, zie malferme, frigoriferi e altre delizie del genere nello spazio di tutti, il tutto facendo un casino impensabile. Praticamente metà spiaggia li stava guardando esterrefatta. I confinanti con il lato est hanno retto per circa 20 minuti, poi se ne sono andati. Io ero attratto da un punto di vista antropologico, ma la possibilità che qualcuno mi associasse a loro mi ha fatto stare male, quindi ci siamo spostati 70 metri più giù. C’era un monte di spazio. Il tipo ha berciato per tutta la nostra permanenza, creando una voragine nel suo specchio di mare. Avendo allontanato tutte le persone che erano li prima di loro, adesso si erano estesi e avevano costruito una specie di fortificazione di ombrelloni e asciugamani a difendere la loro colonia. Perchè è risaputo che la spiaggia è di tutti.

Peloponneso
Avendo deciso al volo di esplorare questa parte di Grecia, non avevamo idea di dove andare, nessuna guida da consultare o google ad aiutarci. Ci siamo mossi solo in funzione delle suggestioni della nostra cartina stradale e di qualche dritta raccolta in loco da gente che abbiamo incontrato. Nonostante questo handicap e il poco tempo, abbiamo visto posti molto belli e in generale siamo stati da re. Siamo sbarcati la mattina presto a Killini, un piccolo porto poco lontano da Patrasso e da li ci siamo mossi verso sud. Siamo passati ad Olimpia e ci siamo visti le rovine dell’antica città olimpica. Li abbiamo conosciuto una coppia di 50enni dell’argentario molto simpatica, abbiamo deciso di creare un gruppo granducale e ci siamo girati il sito archeologico. Tra una colonna e l’altra i due ci chiedevano consigli sui loro figli e sul di loro futuro nell’università. Io ridevo come un pazzo e gli dicevo di non angustiarsi che tanto erano fottuti in partenza e non c’è niente da fare. Nel frattempo gli scroccavamo amabilmente le informazioni che avevano nella loro guida. L’antico stadio olimpico è un trip assurdo. Se ci andate, provate a fare uno sforzo e sostituite i turisti con le bandierine con gli antichi greci, tutti ammassati sul prato intorno al campo. Peccato che erano 45 gradi e noi ci siamo trovati li intorno alle 14.00. Con il fresco. Lasciati alla loro moto i nostri amici ci siamo fiondati sulla prima punta del peloponneso, dalle parti di Coroni. Qui mi sono letto un giallone della Vargas – “Un luogo incerto”, estivissimo e godibilissimo che mi ha prestato il babbo della Marghe. Da li siamo risaliti attraversando una Kalamata deserta in una torrida domenica pomeriggio e siamo scesi nel mani, regione bellissima e affascinante, soprattutto Aeropoli. Peccato che non abbiamo avuto il tempo di giracelo con calma. Mi sono ripromesso di ritornarci. La colonna letteraria di questo tratto di strada è stato “l’adalgisa” di Gadda. Purtroppo la mia scarsa conoscenza del diletto milanese non mi ha permesso di gustarmelo fino in fondo, ma in parte è servito a riscattare la cultura meneghina seriamente messa alla prova dai vacanzieri che avevo incontrato.
Da li ci siamo spostati a Ghitios, nel versante opposto. Nel camping eravamo accanto alla tenda di due ultra-settantenni di Atene. Guardandoli bene sembravano i protagonisti di “Up” della pixar. Solo per il fatto che due vecchietti andavano in vacanza in tenda ha suscitato in me una potente ammirazione. Le mie conversazioni si sono svolte soprattutto con il marito, perchè lei non parlava una parola di inglese. Ci ha insegnato il mistero del koboloi e abbiamo parlato di politica e di immigrazione, con qualche scivolone nel qualunquismo ma comunque interessante. Alla fine ci ho fatto anche un balletto indiano insieme, sotto gli occhi divertiti delle nostre rispettive compagne.
Nel mentre mi sono letto “la sicurezza degli oggetti” che non mi è piaciuto molto, anzi, mi ha fatto un po’ cagare, quindi non ve lo consiglio. Per tornare verso Igoumenitza siamo passati da Sparta; pensavo di trovarci qualcosa di interessante ma non ho trovato niente se non una bella fortezza bizzantina. Siamo passati anche da Corinto e ci siamo visti i resti dell’antica metropoli greca. Il sito archeologico è molto bello; ci siamo arrivati intorno alle sei del pomeriggio, c’era poca gente. Mentre girellavamo per il sito, un prete ortodosso cantava la nenia funebre per un defunto nella cappella li vicino, rendendo molto potente e surreale il tutto. Nel viaggio di ritorno e sul traghetto maledetto mi sono letto Eston Ellis – “le regole dell’attrazione” che mi ha letteralmente lasciato senza fiato. L’immagine della solitudine dipinta da un grande artista della parola. Leggetelo perchè è potente, ma fate attenzione a digerirlo bene. Chiaramente l’ho finito troppo presto e anche il viaggio di ritorno è stato un agonia. Però abbiamo conosciuto un ragazzo di Fano molto simpatico. Fa il geometra con la testa sulla fotografia, abbiamo chiacchierato a lungo di lavoro e di vita di merda, scolandoci una boccetta di grappa che mi ero portato per calarmi nell’oblio. Era sdraiato accanto a noi e abbiamo cercato di dormire la notte sul ponte, con il vento a 2000 nodi. Noi per lo meno avevamo un materasso dei cuscini e una coperta, lui era in maglietta con un asciugamano. Ho temuto che non ce l’avrebbe fatta superare la notte, ma la mattina l’ho rivisto vivo. sul traghetto hanno caricato un numero di persone inaudito: più che una banda di vacanzieri sembravamo una nave di profughi.

Le ombre di Igoumenitza
Durante la nostra permanenza in Grecia ci siamo stupiti della scarsa presenza di clandestini sui territori che abbiamo attraversato. Lungo i percorsi bazzicati dal turismo internazionale, sulle spiagge e nelle isole, la Grecia sembrava immune al problema immigrazione. Solo alle periferie delle grandi metropoli o in strutture fatiscenti immerse in gigantesche aree agricole, avevamo notato la presenza di qualche gruppo di immigrati “irregolari”, probabilmente impiegati nei campi e nelle industrie, lontano dai sensibili e democratici occhi degli stranieri. Il vecchietto di Up di Ghitios, mi raccontava come Atene fosse diventata invivibile, da quando tutti i paesi europei eccetto la Grecia, avevano chiuso le proprie dogane ai flussi migratori, lasciandoli “soli” a sorbirsi tutto il problema. A parte il constatare come l’ideologia dominante rovinava la terra, questa immagine di una nazione “invasa” dagli irregolari, strideva con la mia esperienza sul campo. Il giorno che siamo arrivati ad Igoumenitza per imbarcarci nel viaggio di ritorno erano circa le 6 del pomeriggio. Essendo arrivati con largo anticipo, ci siamo fermati lungo le strutture del nuovo porto per mangiare qualcosa, fare il check-in e prepararci alla traversata. Il nuovo porto dista qualche km dalla città, ed è stato costruito per alleggerire il traffico portuale nel centro cittadino. Un luogo di attraversamento se non addirittura un non-luogo, costruito in mezzo a fatiscenti residuati industriali e a moderne palazzine per erogazione dei servizi ai viaggiatori. Mentre giravamo per lo spazio, avevamo notato un incredibile numero di pattuglie di polizia che scandagliavano in lungo e in largo la via principale, infilandosi spesso in mezzo a spazi fatiscenti, fino a scomparire fra i capannoni. Le pattuglie in questione facevano largo uso delle sirene, e dei suoni di richiamo, apparentemente senza nessun motivo, visto che la strada era tronfia di vacanzieri con le valige, e persone in attesa di imbarcarsi. La cosa generava un clima da coprifuoco e devo ammettere che mi ha gettato a dosso un bel po’ d’ansia. Mentre eravamo in file capiamo il motivo di tanto movimento. Negli anfratti fra i palazzi, negli scantinati delle fabbriche dismesse, si muovevano teste, braccia e mani che cercavano di uscire allo scoperto. Erano loro gli obbiettivi delle pattuglie; il loro compito era renderli invisibili ai nostri occhi. Appena un immigrato metteva fuori la testa, gli sbirri lo braccavano, puntandolo fino a che quello non tornava nell’ombra. Esistenze rese dei fantasmi, perché non coordinate all’immagine del paese, persone con dei sogni, delle aspettative trasformati in delle ombre, impossibilitati a muoversi. Erano li perché da li se ne volevano andare, continuare il loro viaggio, oppure perché erano appena arrivate. Cercando magari di pagare qualche camionista per nasconderli in mezzo al carico e lasciare quell’incubo per ritrovarsi in un altro ancora peggiore. La scena non era piacevole e l’immagine si è rafforzata alla dogana portuale, mentre osservavamo la finanza ispezionare i camion uno a uno. Quando siamo tornati in Italia, Margherita ha cercato sul tubo qualche video sulla questione. Le parole che ha digitato per la ricerca sono “clandestini Igoumenitza”. Fra i risultati usciti c’è anche questo. Altro fugido esempio di che popolo di merda siamo.

Gastronomia e usanze alimentari
Ho ampiamente costatato che la cucina greca rientra a pieno titolo nella sacra scuola dell’unto. Gli ho fatto molti omaggi nel corso del viaggio e (a parte qualche difficoltà digestiva) sono rimasto estremamente soddisfatto. Spesso le porzioni sono abnormi, quasi un invito alla lussuria sfrenata, facendo lievitare il mio girovita che già prima, aveva i suoi problemi. Non sono riuscito a capire cosa cazzo mangiano i greci a colazione; la cosa mi ha angosciato e fatto spendere dei soldi in maledette colazioni all’inglese che non sanno fare. Alla fine abbiamo abdicato e ce la facevamo da soli in campeggio. Un’altra cosa sbalorditiva è il culto del Nescafè. Lo mettono ovunque, soprattutto se lo bevono sotto forma di frappè freddo, goduriosissimo (ci sono andato a ruota subito). addirittura, in un ristorante in cui abbiamo spartito il nostro cibo con un orda di vespe moleste, la cameriera ha messo un pò di polvere della “sacra sostanza” su un piattino e gli ha dato fuoco. Bruciava come l’incenso e ha messo in fuga le vespe.

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5 risposte a Ferie d’agosto

  1. Niccolò Chinaski scrive:

    ahaha complimenti!!!
    se ben ti ricordi il viaggio di ritorno oltre ad essere stato “superfast” è stato anche “superwind”….non finirò mai di ringraziarvi per quella coperta!!!

  2. ariasana scrive:

    esilarante!!!…..tanto di cappello alle tue capacità descrittive

  3. Areafranca scrive:

    Ti prego… la prossima volta fatti un autoscatto sul materassino di 50cm… così ci uccidi definitivamente!! …e poi ricordati di diminuire il tempo dello slideshow di Flickr 😉

  4. caparossa scrive:

    Amo quest’uomo, e il suo pappagallo.
    Dalle mie ex-parti, nel senese, lo “scatizzolamerda” si chiama – secondo me più elegantemente – scansastronzi. Tzé!

  5. pinke scrive:

    ahahahahhahahaah
    c’ho le lacrime agli occhi
    ahahahahah

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