Don Winslow, la Feltrinelli e le batterie di pentole

 
Era più di un anno che la mia combriccola di appassionati del noir americano, mi insultava perché ancora non avevo mai letto nessun libro di Don Winslow, il nuovo vate oscuro di cui ormai nessun bibliofilo west-oriented può fare a meno. Mi è rivenuto in mente mentre ammazzavo il tempo girellando fra gli scaffali della libreria in cerca di qualcosa di sfizioso e un po’ meno impegnativo della mia ultima lettura. Sono andato a cercare la sua produzione fra gli scaffali, convinto che potevo farcela benissimo da solo. Dopo dieci minuti mi sono ricreduto, indeciso se dare la colpa alle canne o alla Feltrinelli. Mi sono seduto su uno dei loro divanetti rossi, famosi per la loro seduta "palo-in-culo-mode", in attesa che uno degli indaffaratissimi commessi mi desse relazione. In questo piccolo frangente lasciavo vagare il mio sguardo dentro la libreria, fra lo spensierato incedere degli avventori e mi sono convinto che la causa del mio finora sconosciuto spaesamento  era dovuto alla recente trasformazione della Feltrinelli. 
Essa infatti non è più una libreria come me la ricordavo io, ma si sta lentamente trasformando in un novello frankestein del mercato, un ibrido amorfo tra la Coop e l’Ikea. Gli scaffali e le catalogazioni dei libri in vendita vengono continuamente modificati, non per la pignoleria archivistica di qualche solerte responsabile alle vendite, ne tanto meno per soddisfare il sadismo di qualche capo reparto, ma per cancellare ogni tipo di familiarità e senso dell’orientamento all’ignaro utente e stimolare quindi acquisti non previsti. La cosa più inquietante è il lento avanzare di interi reparti dedicati alla vendita di oggetti assurdi che mai e poi mai andresti a cercare in libreria, tipo tazzine da te, cornici di radica e batterie di pentole, erodendo lentamente gli scaffali che una volta contenevano libri.
 
Mentre mi alambicchio in questi felici pensieri una commessa con una manciata di portachiavi di hallokitty in mano mi guarda con l’aria di una che si è accorta della presenza di un fantasma. Colgo l’occasione per farmi direzionale verso i libri di Don e lei mi indica con un espressione compassionevole l’angolo verso cui mi devo dirigere. Scopro che da molto poco è uscito un suo nuovo romanzo "La Pattuglia dell’Alba" con un bel taranzo con la tavola da surf sulla testa in copertina. Decido di prenderlo, anche se nessuno mi aveva parlato di questa sua ultima fatica, soprattutto perché avevo bisogno di una lettura da spiagga, di quelle che puoi lasciare il cervello a galleggiare dentro un mojto mentre leggi, e una storia di surfisti nell’assolata California cadeva proprio a fagiolo. Difatti l’ho letto in due giorni e con molto piacere. Stile asciutto e godurioso, una scrittura quasi da sceneggiatore per come riesce a comunicare in immagini lo scenario che descrive. una nota negativa però gli va fatta: i personaggi sono caratterizzati troppo bene per essere degli esseri umani; è un universo di superman e supergirl in cui si innesta una trama magistralmente intrecciata, ma tutto sommato poco oscura e ambivalente per i miei gusti. Le menti, le psicologie della pattuglia dell’alba tagliano la realtà con la precisione di un’onda, puntano dritte sul loro obbiettivo; non ne ho mai conosciuti umani di tal risma. Sicuramente l’autore è perfettamente in grado di disegnare dei personaggi più complessi, ma forse per l’economia del libro, basata su azione e giallo, funzionava molto meglio così. In compenso molto belle le digressioni sulla trasformazioni della California e con esse del macro mondo americano filtrate con arte dallo sguardo malinconico e molto empatico del protagonista Boone. la scoperta della storia di un posto ti fa sempre venire voglia di farne parte, anche se è una storia mille anni luce lontana dalla tua.
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